2
Un fiume di luci cangianti dal bianco
al rosso defluente alle sette
serali d’una domenica d’ottobre
in cui gli ultimi spiccioli di questa
estate straordinaria per caldo
e dolore si spendono, dal buio
dell’inversa corsia a chi torna – bava
brillante di lumaca più che corso
di luminarie nella notte (persa
l’ora legale) presto caduta, scia
del giorno assolato in cui sonnecchia pronto
al risveglio improvviso il primo freddo –
un fiume sordo-lento defluisce
e pulsa vita nell’opposto verso
nel giro del ramo che si piega
e divarica dal tronco in minori
affluenti, in un delta di quartieri
periferici o stagna nel traffico;
un fiume che nel cupo defluire
non sai ancora cosa reca se altro
dolore – sia graffio o puntura –,
o l’abbandono di un corpo
all’altro nell’enfasi perfetta
del desiderio (e il riposo che il dopo
amore fa sereno, rende necessario);
o forse l’ansia reca nel ritorno
a casa dove in due si è più soli
che soli, cupa smania il desiderio
ardente non cancella il dolore
ma ne cresce l’angoscia e incresce
al cuore, e più che stella splende
sull’antro famelico e l’affama
diana?