Ci salveranno i dialetti (e i dialettali)? Tra le varie strade tentate per uscire dalla crisi (per chi l'ammette; poi ci sono quelli che, anche nella palude, sognano cieli sublimi alla Tiepolo) quella del "ritorno al dialetto" o del "recupero dei dialetti" (o delle "radici") sembra attirare molti; ed avere una sua patina persino "politica": i dialetti sarebbere un argine, una forma di resistenza, ai linguaggi commercializzati e all'anglo-americano globalizzato. I dialetti? Quelli che oggi affondano le loro radici in comunità sempre più "provvisorie"o "di plastica" o "elettronificate"? Come non vedere che l'autenticità (dei dialetti, delle comunità, del "popolo", dello stesso "io borghese") è un'invenzione di una tradizione (Hobsbawm) a fini consolatori o politici (si lensi alle "piccole patrie" leghiste)?
Lo scetticismo di questa nota di Linguaglossa, al di là dei giudizi sui singoli poeti su cui qualcuno dissentirà, mi pare condivisibile. Troppa mitologia ( o ideologia pseudo-resistenziale o solo nostagica) pesa sulle operazioni condotte almeno dai dialettali "programmatici" (voglio salvare quelli "spontanei" o naif ) La discussione sul tema non è nuova. Ritorna di tanto in tanto; ed è sintomo della crisi che "ci lavora", più che l'indicazione del varco da cui uscirne. Lo dice uno che il "suo" dialetto non l'ha dimenticato. Ma conservare una reliquia cara non significa resuscitare un mondo perduto. E non si può solo conservare. Si deve cercare. Abbiamo da affrontare una "malattia delle lingue", che colpisce contemporaneamente lingua nazionale e dialetti. Non si sa per quale miracolo questi ultimi ne sarebbero immuni. Insomma, in tempi di "sacrifici" non ci si venga a dire che dobbiamo accontentarci dei dialetti - i "meno abbienti" - o della "sublime lingua borghese" letteraria (Fortini). Esodanti e contrabbandieri, continuiamo a cercare...[E.A.]
Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto a cura di Piero Marelli LietoColle 2011 pp. 270 € 18,00
(Ivan Crico, Anna
Maria Farabbi, Renzo Favaron, Fabio Franzin, Francesco Gabellini, Vincenzo
Mastropirro, Maurizio Noris, Alfredo Panetta, Edoardo Zuccato)
Mettere mano ad una antologia della poesia in dialetto
significa preliminarmente fare i conti con alcune questioni di fondo, innanzitutto:
dobbiamo credere veramente e ciecamente alla tesi zanzottiana del dialetto
quale «lingua matria»? Quale linguaggio in grado di attingere una immediatezza
più immediata di quanto sia possibile con la lingua maggiore? E che tale
presunta immediatezza sia anche il precipitato di una autenticità altrimenti inattingibile?
Dobbiamo credere che mediante il dialetto si possa raggiungere il porto sepolto
del ritorno a casa? Che il dialetto permetta un rapporto «ingenuo»,
«inconsapevole» e magico con il «reale»? Dobbiamo ancora credere all’assioma
della lingua irta ed asprigna di un Albino Pierro come quella vetta estetica
irraggiungibile? Personalmente, ho dei dubbi: si tratta di una vulgata, di una
mitologia che, come tutte le mitologie ha un inizio e una fine.
A tal fine citiamo le parole di una intervista di Zanzotto
rilasciata a Renato Minore uscita in questi giorni per i tipi di Donzelli:*