L'intervista in questione è a cura di Amedeo Anelli e si legge qui sotto in Appendice. (E.A.)
I poeti sono gente
strana, si sa. Hanno il vizio del “mestiere”: partono appena possono per la tangente della
metafora. Che è - diciamolo - un bel vizio. Permette un assaggio di libertà e
felicità. Ma di metafora non si vive, non di sola metafora son fatti i discorsi
e specialmente i dialoghi in cui la gente in carne ed ossa s’impegna per raccapezzarsi
innanzitutto sulle cose complicate del mondo. Quel che trovo strano (e che un po’
m’indispettisce, perché in fondo li sento complici del marasma che ci agita peggio della bufera infernale che
trascinava Paolo e Francesca nel V dell’Inferno) è quando i poeti usano
paroloni complicati e metafore “spinte” anche fuori dalle loro poesie. Quando,
insomma, continuano a fare i poeti anche quando scrivono un saggio o un
discorsetto rivolto alla cosiddetta gente comune. Qui ti aspetteresti, appunto,
di dialogare e ragionare con loro su un
argomento qualsiasi, di sentire risposte azzeccate alle domande che gli fai. E
non soltanto e ancora accelerazioni,
sorpassi e virate mozzafiato sempre sulla stessa Autostrada della Metafora, che
conduce non si sa dove.