mercoledì 27 novembre 2024

Poesia per un esodo

 



LAVORANDO A “NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI”
Da un’intervista (2013) di Ezio Partesana a Ennio Abate

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lunedì 11 novembre 2024

Consigli al giovin scrittor d’oggi (1998)


 


di Ennio Abate


1.

Se/ obbligato ai tic e vivaci moine
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti
hai corso
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo
e in filigrana
feroci e oscure circostanze
sveli
la tua cartamoneta scritta

Piena di leggerezza/ allor
sarà nel crash delle utilitarie
la tua danza davanti alla ghigliottina

Leggendo «Composita solvantur» nel giorno della morte di Fortini

 


di Ennio Abate

giovedì 24 ottobre 2024

Sulla comunicazione in poesia a pochi/molti

 


RIORDINADIARIO 2011/ MOLTINPOESIA

di Ennio Abate

Se sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?
L’immagine che ho della poesia oggi è proprio questa: una persona che sta per affogare. Tutti noi vorremmo salvarla. Io però vedo attorno molta agitazione, troppa confusione. E non m’illudo che alla (difficile) operazione di salvataggio possano partecipare i *molti*, ai quali pur si richiama nel nome il nostro Laboratorio. Non è possibile. Non subito almeno.
Le cause di questo scarto sono tante e complicate: il tipo di vita convulso che facciamo; il “rumore di fondo” dei mass media che comunque ci sommerge; gli orientamenti mutevoli dei singoli, ora più propensi all’autopromozione individualistica ora affascinati dall’obiettivo di una libera espressività ora diffidenti verso certi problemi (critica dei testi, rapporto tra tradizione e innovazione, ecc.) considerati troppo spesso oziosi o fisime per “intellettuali”.
Se questo mio punto di vista non è del tutto campato in aria, non mi sento affatto in contraddizione per aver scritto:

«la poesia deve rinunciare in partenza a raggiungere quanti non possono neppure "sentirla", essendo assordati da "questo mondo così distratto e frammentato"; e deve invece rivolgersi - perché vi è costretta, ma anche per scelta consapevole -ai pochi/molti. 
Fortini diceva: non parlo a tutti. Io userei questa termine "ambiguo" per indicare un potenziale io/noi capace di costruirsi tenendosi lontano sia dall’elitarismo dei “pochi ma buoni”e sia dal populismo dei rintronati dalla grancassa massmediale».

Certo, uno strumento potente per arrivare ai*molti* ci sarebbe: la comunicazione attraverso i media. Non la ritengo opera del demonio da cui stare alla larga. Però è a tutti evidente che, per quanto qualcuno tra noi possa aver imparato a parlare «universalmente in modo appropriato e comprensibile», l’accesso all’uso di questi mezzi gli è in genere impedita.«Chi ha il potere di selezionare i messaggi da veicolare attraverso i mass media usa – ho scritto - criteri non diversi da quelli con cui Berlusconi sceglie le sue *escort*e i partiti i loro candidati alle elezioni». Provatemi il contrario.

Conclusioni. La critica – almeno quella che ancora sta addosso a «questa realtà oggettiva» e non occulta l’esistenza dei rapporti di forza diseguali (per cui alcuni accedono attivamente ai mass media e altri possono essere solo pubblico passivo o semipassivo dei mass media) - è oggi l’unico salvagente che possiamo buttare alla poesia. Ed i poeti dovrebbero essere i primi ad esercitarla, anche nei propri confronti. Solo avendo presente questo stato di cose, sfavorevole alla ricerca in generale e alla stessa ricerca poetica, si potrà «tornare a chiamare le cose col loro nome». E (forse)a farsi intendere anche dai molti, oggi irraggiungibili. Non esiste più (e non solo in poesia) nessun «codice condiviso», nessuna «comunità che fa uso di quel codice condiviso». La frammentazione è tale che, anche quando si cerca di “comunicare” con le più oneste intenzioni, non ci si intende. E, allora, credo che il discorso di Fortini, solo in apparenza aristocratico, avesse chiara proprio questa realtà; e chiedesse giustamente di tenerne conto; e di far pulizia delle false idee che circolano anche in poesia.




24 gennaio 2011

martedì 15 ottobre 2024

Piccola Accademia [Troppo Sorridente] di Poesia!




di Ennio Abate

Vedere poeti e poete così sorridenti mentre
il governo Meloni manda gli immigrati in Albania
l’esercito israeliano ha bombardato le tende
degli sfollati all’interno di un ospedale,
bruciando vive le famiglie che ci dormivano..
.

domenica 13 ottobre 2024

Quattro poesie

 



di Cristiana Fischer


istante afferra immenso 
eterno sconosciuto

coscienza onde del campo

nulla riflette 
il lago in superficie 

lunedì 7 ottobre 2024

Attilio Mangano. Una poesia.

 


Amore inquieto e struggente


Amore inquieto e struggente
ti prego, ora chiudi la porta.
Adesso nessuno ci sente.
Ascolta, mia madre è morta.

Ricordo le calze ai balconi,
l’infanzia, un giardino d’estate,
la casa dai rossi mattoni,
le piccole grandi serate.

Adesso si fa più lontana
la mia giovinezza. Impaziente
la gatta col filo di lana
ci dà una risata da niente.



sabato 28 settembre 2024

Donato Salzarulo

 


Gli esercizi di lettura e gli altri interventi qui raccolti sono stati realizzati in un lungo arco di tempo che va dal febbraio1995 al gennaio 2024. Essi rappresentano la testimonianza di un intenso colloquio con l’opera di un poeta e saggista fra i più importanti del secondo Novecento letterario italiano.

(dalla PREFAZIONE di Donato Salzarulo a IL GATTO DI FORTINI, prima edizione agosto 2024)


domenica 22 settembre 2024

“Dove c’è fumo c’è arrosto”

 


“Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche

di Rita Simonitto

A una volpe saputella
Borbottavan le budella.
Da più giorni non mangiava
Le saliva già la bava
All’idea di un bel desco

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sabato 21 settembre 2024

Per Gianfranco Ciabatti

 


di Roberto Bugliani

“La crisi del movimento operaio ha influenzato in maniera eccentrica la poesia italiana che ha poco discusso il chiudersi di un’epoca pur così ricca e intensa come quella segnata dalla lotta di classe. Tra le eccezioni figura l’esperienza di Gianfranco Ciabatti, sindacalista, quadro politico e autore di cinque raccolte poetiche” (Giuseppe Andrea Liberti, “Nel riflusso. Gianfranco Ciabatti tra poesia e critica politica”, abstract; 2002).
Sono trascorsi tre decenni dalla prematura scomparsa di Gianfranco Ciabatti. Questi trent’anni hanno pesato come il proverbiale masso di Sisifo sopra ogni ambito della realtà socio-politica e culturale italiana; in sostanza, essi hanno rappresentato un cruciale lasso di tempo nel corso del quale sono stati portati a termine processi di progettazione strutturale e di ri-configurazione capitalistica, processi le cui peculiari caratteristiche l’opposizione di classe (o quel che ne restava dopo il suo riflusso politico) non aveva saputo cogliere.

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martedì 17 settembre 2024

Poesia e politica


di Ezio Partesana

 Il contenuto politico della scrittura non coincide con il contenuto materiale anche se, quando accade, il problema è risolto; il dubbio resta per quei testi che parlano d’altro, dal timbro lirico o personale. Se ogni forma è un contenuto storico sedimentato, tuttavia non si può rispondere alla domanda di ordine sociale, se un componimento sia o meno “politico”, limitandosi alla ricostruzione interne delle sue ereditate forme; scrivere sonetti nell’età contemporanea, per esempio, è certo una scelta di opposizione e distanza dal poetare di tutti e chiunque, ma si possono scrivere quartine e terzine anche dicendo sciocchezze reazionarie. L’opposizione tra sentimento privato dell’esistenza e impegno civile è appunto una opposizione e in quanto tale non genera nulla; si prende partito, uno tra i disponibili, e se ne rivendicano le ragioni come in sogno di fronte a un giudizio universale. L’astrazione del recente discutere sul tema nasce da questo: dall’ipotesi che ogni individuo sia libero di scrivere, e leggere, quello che vuole, l’illusione cioè che la lingua sia una forma inerte e pura della quale ci si può servire (o a lei ubbidire, a seconda) affinché questa o quella cosa vengano dette. Si dimentica volentieri, insomma, che la trama e le parole, il ritmo e il nome, sono prodotti collettivi di una struttura sociale che nasconde le contraddizioni anche con il linguaggio, e i suoi derivati prodotti. Non si può dire tutto, in fine, non solo perché le condizioni di chi ascolta sono controllate dal lavoro, dall’educazione, dall’etnia, e via dicendo, ma anche perché la scrittura (o il disegno, o la musica) è soggetta alla stessa ideologia entro la quale vivono gli uomini. Però si può sedurre e mentire, vale a dire escogitare una lingua che, in obbligato e apparente ossequio allo stato di cose, lasci però l’amaro in bocca del “non dovrebbe essere così”; una poesia (nel senso più ampio possibile del termine) che avveleni i pozzi del dominio scherzando con le pozzanghere. La mia modesta risposta alla domanda su quale sia una scrittura politica è dunque questa: chi dice la verità in un mondo di menzogna è sempre rivoluzionario.


lunedì 9 settembre 2024

Gli amici morti

 




di Ennio Abate


Da un’ombra gli amici morti
annunciavano: vorremmo aiutarvi.

Impossibile, tra me dicevo. Esitavo,
però, e, per non rompere con loro,
cominciavo: siamo tanto diversi.
(Voi morti ormai, noi vivi, intendevo).

In sogno ancora vi parliamo, dicevano.

Più in allarme, allora, mi chiedevo:
come fossimo vivi? o tutti già morti?
E, per uscire dal dubbio, proponevo:
su, prendiamo un caffè insieme.

Ma no. Volevano restare nel sogno,
non uscirne. E in coro insistevano:
aiutarvi, guidarvi, passarvi la nostra
saggezza.

Sempre scettico aggiungevo: come
riconoscervi? Siete  in una folla
immensa. E stizzito: O avete continuato
a invecchiare e a capire più di noi?
Solo morendo, potremmo darvi retta.

Sorridevano ora: con le vostre guerre
che fate, se non morire e far morire?
Troppo ingrossate il popolo dei morti
e trascinate nella nostra ombra
l’azzurro del cielo e del mare, il vento,
gli amori. Avvertirvi, fermarvi, vorremmo.

(9 settembre 2024)

martedì 3 settembre 2024

La Giustizia

 


“Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche

di Rita Simonitto

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domenica 1 settembre 2024

IN UN SOGNO CON ATTILIO

 


Attilio Mangano (1945- 2016) 



di Ennio Abate


Nella stanza da pranzo

di casa mia, di adesso.

Piatti sporchi, posate.

Sparecchiavo la tavola.


Attilio dall’ombra

mi mostrava un giornale

- uno speciale de il manifesto

di una volta.

Oggi è la sinistra che governa:

mi annunciava serio.

Stupito io. Come può essere? - tra me dicevo - E’ cosa contraria a quel che pensiamo da anni.

Non volevo però contraddirlo.
E ho cominciato: Attilio,
siamo diversi ma possiamo
ancora parlare ...
E per farlo più a lungo possibile:
Prendi un caffè con me, gli proponevo.




(31 agosto 2024)

lunedì 26 agosto 2024

Il Signore del Creato

 


Riflessioni sotto forma di filastrocche


di Rita Simonitto


Il Signore del Creato Dalle critiche turbato

A rapporto chiamò i suoi.

“Ecco qua: affido a voi

Di andar di qua e di là

E dirmi poi ciò che non va.

No rimborsi ‘piè di lista’

Tranne qualche intervista.

No incontri pilotati

Per sgamare risultati

Che esprimono dissenso

Ricevendone compenso”

venerdì 23 agosto 2024

Ripulitura di una poesia del 2004: Ricordando Massimo Gorla

 



RICORDANDO MASSIMO GORLA1


Da lui. Un saluto. Un blando incitamento.
Il verbale concitato del suo ’68 a Parigi.
In una fredda sera – quando? - un comizio.
Voce arrochita in piazza Missori. Milano.

Autunno amaro e greve di Piazza Fontana.
Ero dei loro. In riunione. Lì vicino. In casa
di Rota. Udimmo il botto. Sarà una caldaia?

La caldaia era l’Italia. Assassini gli idraulici.

Scantinato di via Giason del Majno. Prima
raccolta di figurine proletarie. Tasselli
della classe dai turni intorpidita. Untumi
familiari. Fumo di sigarette. Discorsi
di speranze. Nuova pataria di operai
di studenti di immigrati. Inermi. Corrucciati.

Non più nenie. Scarpe impacciate poi sulla
ghiaia  di via Vetere. Muti nelle conferenze. 
Per anni continuò la spola. Da Cologno
guanto del Sud terrone rovesciato. A Milano
clessidra  di grigia polvere lussuosa. 

Ohi, Berto presto morto. Cauto il Vincenzo
alla Manuli. 
Donato all’Innocenti solitario.
E Ambrogio irruento. 
E Linda suicida.
E Aurelio, Michele, Luigi ed Emilio. 
Più
assottigliate le parole. Sfuggenti gli sguardi.

Con pietosa velenosa coda ripensammo la fine.

Fu dolce stil novo collegiale, Attilio? Se fu
tra di voi fu. Se fu, non staccò mai i già affini
per prebende sindacali aziendali e statali. Né
sciolse gli ammassi. Degli sfigurati dalla fatica.
O dei ricchi di capitale. Dei cinici arrivisti.
Dei di più conoscenze e di bombe provvisti.

Resta un’eco, un brusio la nostra scienza.


(16 novembre 2004/ 29 settembre 2009/ 23 agosto 2024)


1 Massimo GorlaCfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Gorla

mercoledì 21 agosto 2024

Memento inattuale


Nei dintorni di Franco Fortini

PER POETI E POETESSE NAVIGANTI NELL’OMBRA DELLE PAROLE, SGOMITANTI NELLA CACCIA SPASMODICA AL MISTERO E IGNARI DELLA REALTA' CHE I LORO PIEDI CALPESTANO

L’importanza di una più attenta riflessione sulle scritture di servizio è per Fortini un atto necessario di educazione culturale lontana da ogni specialismo o boria professorale:

Per conto mio seguito a credere che la comparsa di un buon manuale scolastico, di un corretto dizionario o di una seria enciclopedia, di una ben fatta collezione economica di classici è avvenimento più importante della comparsa di un buon romanzo, di un felice libro di versi e dell’autorevole edizione critica (lire cinquantamila) di uno di quei nostri classici che l’aspettano da più di un secolo. Dica pure, chi vuole, che sono nemico dei buoni studi.

(Leggendo Chiara Trebaiocchi, Re-schooling Society. Pedagogia come forma di lotta nella vita e nell’opera di Franco Fortini , 2018)



venerdì 19 luglio 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (5)

 


di Ennio Abate


Non voglio fare la lezione a nessuno, ma non  posso tacere  il disagio che provo a leggere certa poesia d’oggi (e spesso anche quella che si vuole “poesia civile” o tocca in vari modi proprio il tema della guerra).
Se insisto a pensare alla guerra e ad incitare altri a farlo, non è perché ne sia affascinato. Neppure presumo di  sapere di violenza o di guerra molto di più di quelli a cui ancora a volte mi rivolgo. Anzi ritengo che tutti siamo in estrema difficoltà nel pensare la guerra.
Innanzitutto perché apparteniamo a generazioni che direttamente non l’hanno mai fatta o ne hanno subìto molto indirettamente le sempre pesanti conseguenze. (Io, pur se sono nato nel 1941 in piena Seconda guerra mondale e in una città - Salerno - particolarmente segnata dai bombardamenti, ne sono stato solo sfiorato). E anche l’eventuale conoscenza, che abbiamo potuto avere da libri, film  o giornali sulle guerre dei nostri padri e nonni o sulle guerre in altri Paesi, resta comunque occasionale, limitata e insufficienteMa il mio discorso si rivolge in particolare ai poeti – miei coetanei o delle generazioni più giovani – e ad essi mi sento di porre un problema che riguarda proprio il non rapporto tra poesia e guerra, che rende non impossibile ma  più arduo pensare la guerra e non semplicemente parlarne o esprimere indignazione o sgomento o auspicare che venga sostituita dalla pace. E voglio anche ricordare che, fosse stato un poeta pure su un campo di battaglia (come lo furono Ungaretti e Rebora, ad esempio) o vicino agli eventi più tragici che una guerra sempre produce, è la stessa forma-poesia a  fare da doppio filtro contro la realtà orrorifica della guerra. (Ma posso accogliere l’ipotesi che essa – la forma-poesia – possa essere stata un quasi necessario scudo o paraocchi contro questa Medusa che, guardata in volto, annienterebbe chi la guardi). 
Per la consapevolezza raggiunta di quanto sia inadatta (e persino insidiosa) la forma-poesia a pensare la guerra, da una parte m’irrita la superficialità di molta “poesia civile” che, ignara di questo limite, danza e ricicla versi sulla guerra e le sue vittime: più o meno pensosamente, fin troppo civilmente, inconsapevolmente ipocrita; e, d’altra parte, non sopporto quelli che invitano a cancellare la stessa questione del non rapporto tra poesia e guerra e vogliono continuare a “fare poesia” e basta (o a ”fare quello che i poeti sanno fare, scrivere poesie”). 
Una correzione s’impone. A me stesso e agli altri poeti. Per tentare, tolti il doppio filtro o i paraocchi sia della “poesia autentica” e sia della “poesia impegnata”, una poesia capace di immaginarsi in posizione estrema. Com’è quella – purtroppo realissima – dei civili bombardati. I poeti, cioè, per pensare la guerra devono fare i conti con quelli che la guerra la fanno. Devono almeno immaginare di doversi presentare davanti ai generali, ai boia, ai torturatori professionisti, ai soldati addestrati ad ammazzare o ai politici e banchieri che impassibili si servono di costoro e traggono vantaggi dalle guerre. Devono, cioè, rifiutare prima di tutto di imboccare la via facile e abusata: quella dov'è ancora possibile praticare una poesia  che in fin dei conti si rivolge esclusivamente agli inesperti della guerra,  ai pacifisti "naturali”, ai tantissimi  esorcisti "spotanei" che la guerra non la vogliono né vedere né pensare.