Amico mio, cosa mi domandi?
Non so più cosa m’aspetta
né cosa mi proposi.
Reclami ancora verità e sorprese
e mi chiedi che tempo hanno
e che valore
in questo luogo stretto e qualunque?
Ti ribadisco che non comprendo più
cosa m’ imposero,
né quello che veramente inseguii.
Batto i denti al tuo futuro,
m’ acquatto nel presente
e tutto scorre con fiacco moto.
Qui le intemperie
cambiano voce,
e cadono in dirupi le illusioni.
Torni salvo, amico mio,
rimbalzi dalla storia
senza indignazione,
ma questi figli
sono intirizziti
dal freddo e dall’attesa.
3 commenti:
"Qui le intemperie
cambiano voce,
e cadono in dirupi le illusioni."
Tre splendidi versi che rendono vivo e partecipe il dolore intirizzito dell'autrice. In Leopardi.
Giuseppe Beppe Provenzale
A parlare è la voce di una persona innominata (si intuisce solo nel finale, per l’accenno a «questi figli», che potrebbe essere una madre). E smemorata: è senza futuro («Non so più cosa m’aspetta») e senza passato («[Non so più]cosa mi proposi»). Incerte o confuse le sono diventate le «verità» e le «sorprese» (possibili in una situazione di mutamento). Anzi le verità divenute ora incerte appaiono imposizioni ricevute («non comprendo più/ cosa m’ imposero») e i desideri, inseguiti (quali?) prima dell’attuale smemoratezza, incomprensibili. Batte i denti (nel senso che è in preda a timore o angoscia) davanti al futuro (quale?) dell’amico a cui si rivolge; e, per quel che può si difende acquattandosi nell’unico tempo rimastole:il presente, che è però, staccato da passato e futuro, un tempo amputato, nel quale proprio come in un arto tagliato la vita viene meno, «tutto scorre con fiacco moto». Vengono registrate soltanto le perturbazioni atmosferiche («Qui le intemperie/cambiano voce» e, ancora una volta la perdita delle illusioni («e cadono in dirupi le illusioni»). Alla fine resta solo la possibilità di un augurio per l’altro (l’amico): che egli possa tornare salvo (da dove? dal suo futuro?), che possa rimbalzare (nel senso di uscire) dalla storia, intesa come qualcosa di negativo che può soltanto suscitare indignazione, sentimento che pare non molto apprezzato. E un ultimo, materno sguardo ai figli «intirizziti / dal freddo e dall’attesa» di qualcosa che non si sa più se provocherà mai un benefico disgelo.
La poesia trasmette un sentimento di pacata desolazione e di quieta, forse rassegnata, disperazione. Che è resa linguisticamente con la scelta di un lessico astratto: innominati sono chi parla e l’amico, il luogo da cui si parla («stretto e qualunque») e i termini ricorrenti (verità, sorprese, futuro, presente, moto, intemperie, dirupi, storia, freddo, attesa) sono tutti non specificati. Non si ricorre ad alcuna immagine. Mi sembra una buona poesia costruita filtrando al massimo i riferimenti al reale.
Ennio Abate
Ho scritto nel precedente commento:
"Vengono registrate soltanto le perturbazioni atmosferiche («Qui le intemperie/cambiano voce» e...
Giustamente mi è stato fatto notare che
le 'intemperie' non sono solo o soprattutto quelle atmosferiche, ma le più classiche 'tempeste dell'anima".
Il che è coerente con il taglio di meditazione interiorizzata del testo.
Accolgo la correzione.
Ennio Abate
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