Dal Sud del mondo
di Eugenio Grandinetti
S'aggirano per l'Europa strani spettri:
sono emaciati ma non sono pallidi
perché hanno la pelle scura. Vengono
attratti da un miraggio che gli pare
più vero di quelli che si formano
nelle calure del deserto,e sono
invece più illusori,fatti
di promesse di oggetti
da possedere,di apparenze
piacevoli in cui mostrarsi. Vagano
per le nostre strade carichi
di cianfrusaglie da vendere,sostano
sotto i portici
accanto ai loro banchetti su cui espongono
le sigarette di contrabbando
aspettano ai semafori che scatti
il rosso e che le macchine
si fermino,per fingere
di lavare i parabrezza e chiedere
un'elemosina dignitosa,e restano
nei nostri pensieri come rimorsi
per una colpa che qualcuno
deve pure aver commesso,forse
proprio noi stessi,senza accorgercene,
con l'esibizione del benessere
e con l'occultamento dei malesseri,
perche non paia
agli altri che ci guardano che il successo
non ci abbia arriso,e che la nostra
vita sia stata tutta un fallimento.
E il fallimento
non era individuale,era
di tutta la nostra storia,che prometteva
libertà per ognuno e invece
ci costringeva ad una dipendenza
sempre più rigida,che prometteva
dignità e ci costringeva
a sempre maggiori compromessi
che prometteva
uguaglianza ed ha creato
disparità inarrivabili,tra continente
e continente,tra popolo
e popolo,tra ceto
e ceto,tra uomo
e uomo. E ognuno
vuole essere parte
di quel continente,di quel popolo,di quel ceto
che ha successo,ed essere egli stesso
quello che ha successo e supera
tutti gli altri,o almeno
non essere l'ultimo,avere
altri dietro di sé
da usare,possibilmente,o almeno
da poter dire
che gli sono inferiori,per trovare
una ragione all'inuguaglianza e non volere
Ma continuano
ad aggirarsi nelle nostre menti
questi spettri inquieti
ed inquietanti,anche quando
noi diciamo a noi stessi che anche noi
siamo vittime,che altri
che dovrebbero provare
rimorsi non li provano,forse
perché non frequentano le nostre stesse
strade e non vedono
questi uomini che pare
che chiedano ed invece
accusano. Per difenderci
ci convinciamo
che questi non sono uomini,
che ci sono ostili,che ci infastidiscono
con la loro petulanza,che occupano
i nostri posti di lavoro,che portano
malattie,che sono responsabili
dello spaccio di stupefacenti,della piccola
criminalità quotidiana che rende
i nostri giorni sgradevoli.
Seguiamo una scia lunga,di polvere,
che c'intorbida gli occhi e fa le immagini
confuse e minacciose. Si dovrebbe
essere senza storia per uscire
dalla quotidianità dell'odio,per sentirsi
solo uomini,insieme,contro i limiti
di una natura ostile,per sopravvivere
insieme,dimentichi
delle diversità storiche,solo
con la ragione di uomini,con l'uguaglianza
di uomini che non debbano
più diffidare l'uno dall'altro,badando
che l'uno non s'appropri
di ciò di cui l'altro si era appropriato
sottraendolo a tutti gli altri,
ma che s'aiutino
reciprocamente,perché la vita
non sia una gara da vincere
contro i propri simili,ma un percorso
da fare insieme,sostenendosi
l'un l'altro,per arrivare
il meno faticosamente possibile
alla fine. Ma ora
s'aggirano questi spettri
per le nostre strade,inquieti
e senza consapevolezze. Se fossero
consapevoli potrebbero
tentare di impadronirsi del potere con la loro
disperazione, perché non avrebbero
nient'altro da perdere che la loro
disperazione,come un tempo pensarono
altri ma non seppero essere coerenti
perché mancò loro il coraggio o perché forse
vennero date anche a loro delle cose,
certo in misura minore,perché si sentissero
consorti e complici,perché vennero posti
al di sopra di altri,perché non si sentissero
ultimi e temessero
di perdere i loro privilegi. Ed oggi
sono loro che agli angoli delle strade,
sotto i portici,si sentono chiedere l'elemosina,
fieri forse di sentirsi superiori,ma timorosi
e inquieti,per l'aumento
della criminalità,della vendita
della droga,delle sigarette
di contrabbando,per il diffondersi
delle malattie,per il timore
di perdere il lavoro,per il fastidio
di essere importunati,sotto i portici,
ai semafori,lungo i marciapiedi
in ogni strada,ad ogni ora. Eppure
erano cos“ anche i nostri padri
alla palummara di Chicago,nelle topaie
di tutta l'America,in dieci per stanza,
disprezzati ed odiati,adatti
solo ai lavori umili,ma sospetti
comunque,da rimandare
possibilmente al loro paese
con un foglio di rimpatrio,come Serafino,
violento perché insofferente,ma riservato
e solitario,per come lo ricordo,
col piccone sulle spalle e con le scarpe
ingrommate di fango,con gli occhi
sempre bassi,lui che era stato
l'italiano sporco e portatore
di ogni malattia,di ogni delitto,torbido
perché povero.
Ed anche questi spettri
che ora ci tormentano non s'aggirano
solo per le nostre strade,ma entrano
nelle nostre menti :sono
meditazioni su un passato
torbido,su un presente
senza ideali,sul nostro
procedere a tentoni e come in circolo,
continuando a commettere gli errori
di sempre,senza accorgercene.
*Nota
Da: Eugenio Grandinetti [ge.grandinetti@alice.it]
Inviato: lunedì 23 giugno 2008 10.29
A: ennioabate@alice.it
Ti accludo,come mi hai richiesto,la poesia sugli immigrati. Devo però precisare che è una poesia vecchia, di quando ancora gli immigrati erano quelli del Nord Africa e non era cominciata la migrazione dai paesi dell'est. Più nuovi sull'argomento sono le poesie"i barbari" da malesseri e inquietudini
e una inedita "immigrati" che si riferisce ad una tragedia sul lavoro avvenuta in Sicilia (mi pare a Licata), in cui ha perso la vita un operaio rumeno.
Ti trasmetto anche questa
Immigrati
essere senza terra e senza gente
in un mondo che t'odia e si difende
da te offendendoti,che pare
accoglierti ma ti emargina e ti guarda
per guardarsi da te,che ti sfugge
se tenti di accostarti ma ti cerca
per sfruttarti e ti permette
anche di lavorare,però in nero,
che se cadi da un'impalcatura
o se rimani sepolto dalle macerie
non ci sia nessuno che ti cerchi,
che nessuno debba avere fastidi
alla scoperta della tua morte.
MI ACCODO
di Leonardo Terzo
Ma quanti poeti!
Ma quanti!
Solo il poeta è nessuno,
Solo il poeta è d'un altro.
Nessuno?
Ma quanti!
Solo il poeta è nessuno,
Solo il poeta è d'un altro.
Nessuno?
Dittongo? Sineresi? Iato?
I più dormono, - ostiche! -
Pieni di boria, interdetti,
Ostriche dai plurimi effetti:
Sineresi? Iato? Dittongo?
Pieni di boria, interdetti,
Ostriche dai plurimi effetti:
Sineresi? Iato? Dittongo?
Situazionisti o immedesimi?
Iato! Dittongo! Sineresi!
Iato! Dittongo! Sineresi!
VOGLIA DI BELLEZZA
di Enzo Giarmoleo
Dopo il temporale
gli ailanti
quasi a toccare il cielo/
l’occhio attraversa
il vetro trasparente
il quadro della grata/
arriva lì fin dove
l’ali ritorte delle samare
a grappoli danzano
alla limpida luce del sole/
bagliori arrivano in questa stanza
dove le ali non si dispiegano:
performance di moine
di poeti amici o nemici tra loro.
SOSPOESIA
di Marilena Verri
Ma quanti poeti ci sono?
Ma quanti siamo?
E poi, cosa vogliamo?
Solo far sentire le nostre poesie,
molto più di quanto ci possiamo prefiggere di comunicare.
Quindi chi gioisce di tutto ciò?
Solo il poeta e nessun altro.
Nessuno si diverte,
i più dormono,
altri sperano che finisca presto.
Salvateci dai poeti saccenti,
pieni di boria,
di paroloni,
di frasi ostiche e ad effetto
e soprattutto fateci capire queste poesie
perché non ci si riesce proprio
e si resta interdetti e imbarazzati,
intenti a chiederci se siamo più stupidi degli altri
che mostrano d'aver capito
con sorrisi e atteggiamenti
che chiariscon meno ancora.
Invece è bello se c'è da sorridere,
se il poeta canta anche le più semplici e umili
situazioni della nostra vita e lì ci ritroviamo
e ci immedesimiamo,
oppure dove c'è un pensiero puro,
senza tempo,
valido per tutti
in cui ci ritroviamo.
Grazie poesia,
quando ci sei!
da "Notte a Elounda"
di Raffaele d'Isa
Brutta storia la turcocrazia in Grecia. E Creta pure risentì del regime dispotico che soffocava nel sangue ogni spiraglio di rivolta, mortificando il retaggio di una civiltà vivente in antichi valori di libertà e finezza estetica incomprensibili agli oppressori. Ma il tempo, generoso, pose fine a tutto questo.
Il pascià di Creta
Quanto ti amò, lottando, il Gran Visir
mentre il pascià di Creta certamente
sbigottiva davanti agli aspri e brulli
territori a ovest, oltre La Canea.
Dovevano apparire troppo colmi
di libertà, ad uno come lui,
quei palcoscenici oramai ammutiti
di miti fin nella più flebile eco
tintinnante dall’alba della storia
fino ad oggi. Le cime dirupate
sprezzavano spietato dispotismo
e, a quelle altezze, serbavano ancora
il gusto aereo della civiltà
che a tutto diede inizio. Pure l’isola
di poi riusciva a ritrovare alcuni
tratti delle stagioni dei palazzi.
Sorpreso l’oppressore dal virare
degli eventi, condusse il Tempo in curva
Creta nei più felici evi moderni.
Il pascià di Creta
Quanto ti amò, lottando, il Gran Visir
mentre il pascià di Creta certamente
sbigottiva davanti agli aspri e brulli
territori a ovest, oltre La Canea.
Dovevano apparire troppo colmi
di libertà, ad uno come lui,
quei palcoscenici oramai ammutiti
di miti fin nella più flebile eco
tintinnante dall’alba della storia
fino ad oggi. Le cime dirupate
sprezzavano spietato dispotismo
e, a quelle altezze, serbavano ancora
il gusto aereo della civiltà
che a tutto diede inizio. Pure l’isola
di poi riusciva a ritrovare alcuni
tratti delle stagioni dei palazzi.
Sorpreso l’oppressore dal virare
degli eventi, condusse il Tempo in curva
Creta nei più felici evi moderni.
QUANDO NON SI SA DOVE ANDARE
di Maria Di Lucia
Quando non si sa dove andare,
si va
avanti così, per caso:
un po' a destra e un po' a sinistra,
insomma si va dove
tira il vento.
Ma soprattutto si va dove tutti vanno
e ancora peggio si fa come
tutti fanno.
Ad esempio se in quel tempo
tutti sputano sui genitori
pochi
riusciranno a fare diversamente.
Certo in pochi si chiederanno
chi ha interesse
a dividere i padri dai figli.
Voi ad esempio vi siete mai chiesto
chi ha
interesse a dividere le due generazioni?
Forse chi vuole sottrarre i preziosi
consigli
che solo i padri e le madri sanno dare ai figli?
Oppure se tutti
picchiano le donne
difficilmente non si picchierà la propria.
Si troveranno poi
mille scuse
e un milione di motivi per convincersi
che è giusto seminare ogni
tanto
qualche schiaffo o qualche calcio o un pugno
magari non eccessivamente
forte
ma comunque sempre meritato dalle femmine balorde.
E uguale se si decide
di fare al forno un po' di diversi:
negri, ebrei, zingari o gay.
e non importa
se dopo si scopre
che non è la diversità il vero motivo,
ma l'interesse a
spingere la mano assassina.
Se si va dove tira il vento può capitare
che si
trovi giusto bruciacchiare
qualche centinaia di migliaia di donne
e si troverà
giusto anche chiamarle streghe.
E certamente se sei uno di quelli
che va dove
tutti vanno
mai ti chiederai se la strage di donne
nascondeva ben altro che la
paura del maligno,
e mai capirai il bene prezioso
che è stato sottratto
all'umanità intera.
Se sei uno che non si chiede né come e né perché
troverai
sicuramente più che giusto che le donne
a una certa età bisogna cambiarle
con
donne più giovani ed eccitanti.
Scordando così il valore dell'amore e tutto il
resto.
E se sei una donna che non comprende
quanto bello può essere invecchiare
e sei terrorizzata all'idea di uscire dal mercato
troverai più che giusto farti
tagliare e cucire
tette e culo, labbra e mento, cosce e pancia.
Ma anche
troverai più che valido
misurare il valore di un uomo
dal suo conto in banca,
dalla sua macchina o telefonino.
E se sei uno che non ama ragionare
ti verrà
naturale criticare
chi l'amore a suo modo vuole fare.
E se ti sei scordato che
l'uomo
è più importante del mercato
troverai assolutamente giusto
inquinare la
terra su cui poi dovrai seminare
e concimarla con prodotti velenosi
che poi ci
riempiranno
di macchie, malattie e tumori.
Certo lo troverai giusto.
E allora
perché ora che
dopo tanti anni di veleni
stai morendo non lo trovi giusto?
Dei pogrom italiani
di Ennio Abate
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi:«Maestro, che è quel ch’i’odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?»
Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon i Rom in quel di Ponticelli
che l’itala stirpe vuol menar sodo.
Di molotov armati, pasciuti fascistelli
bimbi, vecchie e fanciulle in fiore
com’ebrei scaccian; e si fan belli
nel gran silenzio dei democratici a ore
i quai, inciuciandosi con B. per niente
hanno res’ottuse la mente e il core
un dì solidal della sinistra gente;
non più salari invocando, ma sicurezza
e ronde per città perbeniste finalmente.
Esse non dei padron l’opulenta munnezza
portan via da ‘sto disgraziato paese;
ma dei poveri le cose, con carezza
ferrea dei lor anfibi, lanciano via; e se
qualcun’ancor grida: “Basta, vili accecati!”;
cavano lor gli occhi con fare cortese.
Bramano etnica pulizia di Rom e immigrati
dopo che pulizia fu fatta di comunisti.
E via pure pacifisti, buonisti e altr’ingrati.
Restino al nord cupi crociati leghisti;
al centro il pentito ma infid’Alemanno;
e che il sud, sfederato, vada ai camorristi.
Ahi serva Italia, di dolore ostello
nave con un clown nocchier in gran tempesta
dove t’arenerai nel mondial bordello?».
Leonardo Terzo
Nel girone degli Accecati
Catafratti nei foschi pregiudizi
Scontan la pena al modo degli struzzi
Nel buio che inani rende gli sconfitti
Piccoli mostricini e maestrucci.
Irosi e superbiosi e pien di crucci,
Grattan le rogne con gridi ingiuriosi,
Votar non han voluto e sono espulsi.
Tengono l’occhi a libercoli brutti:
Non Carlo Marx, ma consunti esercizi
Dei capetti impancati a brevi tratte,
Da Bollate a Lambrogno a Casalmatte,
Sbattendo il grugno e digrignando rutti.
Veder non han voluto e son distrutti.
Presso di loro stanno altri inebetiti
Però accecati d’abbagli vittoriosi
D’effimera euforia calamitosi
Saccheggeranno i resti e periranno
Con loro, ma purtroppo anche con noi.
E nella storia non lo sono
di Gabriele Pieroni
Pensavo, semplicemente,
io non sono.
Per te,
non sono niente.
E' una questione di mente
di sincronicità.
E' che non sono
nulla
fra ciò che sta con te
là
e cio che sta con me
qua.
Ed è un abisso fra le righe
come se fra le spighe
un urlo tra gli steli,
sempre fermasse la mano.
Pensavo, semplicemente,
io non sono.
Per te non sono niente.
E nella storia non lo sono.
Nel ricordo.
Nell'attimo
nel battito
nel dolce non far niente.
Pensavo questo, semplicemente.
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