Le due di mattina
Schiarisciti la mente perché se guardi la mia casa
ci trovi solo uccelli che schivano l’aria dall’interno
e senza più ragnatele e radio d’anteguerra
sembra proprio una casa qualunque e indolore,
e in ogni ora del giorno e della notte
non si sogna e non si dorme per un frastuono
di finestre sbattute che martellano il solaio e
i calcinacci che piovono dal cielo
ci impediscono di entrare e di restarci:
siamo rimasti in pochi a mendicare una legge
divina dentro libri che rifiutano d’aprirsi:
sono le tarme i veri esperti di civiltà e ragione
per orientarsi in una casa che ha cancellato,
senza permesso, ogni spazio tra le stanze e le strade
che alle volte ci portavano qui.
Guardiamo ormai alla terra come a una giovinezza,
una salvezza, una coscienza di non pensare
che crollata una casa anche le altre
Deflusso
È bene che qualcuno ci aspetti finita la settimana,
un venerdì sera che non è come gli altri,
mentre arriviamo in un luogo fermo e vivo nella mente
senza più voce, amalgamandoci a esso,
e se ancora ci dice qualcosa, quando torniamo stanchi,
sembra un corpo svestito con le anche penzolanti
che resiste all’urto delle mani cittadine.
Il ponte con sotto il Garigliano, il Redentore,
una conca di case a Mercogliano, il porto a Recanati,
lo stile romanico dei colli verso Ancona:
tutto va bene, basta che sia provincia e che ci colga,
come fosse imprevista,
quattro volte in un mese la giornata più attesa.
Non mettiamo davanti agli occhi cose spoglie,
è solo una parte di noi che ci distoglie
da quante vite ci sono senza pace e se solo
la notte fosse eterna, in questo venerdì,
vedremmo che il mondo non tornerà lo stesso,
non ci assomiglia più, si è ritirato in noi.
Riposo
Certo vedere piovere è già dopo la meraviglia della pioggia
e quando si spara alle nuvole vengono fuori solo fulmini
ma anche la natura sa fingere, come finge la bassa marea,
non puoi dirle di lasciarsi andare, lo sta già facendo,
non è incredibile fare a meno di tutto e lasciare l’orecchio
sul cuscino, durante un forse, un perché, un quando,
la terra brilla tutta di luci di notte e non sono luci amiche
ma neanche il nero è un colore da interstizio, quindi
è meglio dare buca a questa giornata che non passa mai,
battere le lenzuola e non pensare a niente e nessuno,
come è vero che pensare a se stessi è sempre un niente
che si pensa inutilmente, tanto non siamo, non viviamo
e mentre siamo murati una luce si scolla, pensiamo sia
quella del balcone di casa, la spegniamo, rimane un alone,
non lo si può tenere in vita, bello è fingere di essere felici,
ma ancora di più restare vivi, mancando a se stessi
finalmente.
Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2ed. accresciuta Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco (Manni, Lecce 2007) e la monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Vive a Gaeta.
2 commenti:
Se non sapessi che scrivere è anche un piacere estetizzante, un attaccamento a certe ombre e luci, leggendo queste tre magnifiche poesie mi vien la voglia di rimettermi in meditazione. Quella classica che inventò Budda, quella dove non si fa niente ma si sta. Così facendo probabilmente cadrebbe quella patina malinconica che si percepisce, pur nella freschezza dei versi. Solo che poi, magari non si scriverebbe più. Quel fermarsi prima è restare nel mondo, tra la compagnia della moltitudine. Siano persone o cose.
Grazie
mayoor
Molto belle queste poesie. Anche io ci ho meditato sopra, ho impiegato un’ora per leggerle. Ho trovato interessanti due aspetti. Il primo è la capacità minuta di setacciare la natura umana sia dal punto di vista quasi fisiologico, sia dal punto di vista morfologico/psicologico. L’altro è quel sapersi tenere bene in equilibrio tra i rischi dell’eccessiva analisi interiore e i rischi del soggettivismo. Un po’ di abbondanza forse? versi un po’ troppo ricchi, no, prosapoesia semplicemente bella. Quando ho letto “Il ponte con sotto il Garigliano,…” mi è venuto un tuffo al cuore. Bravissimo Stelvio, mi piaci molto.
Giuseppina
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