In apparenza queste riflessioni di Salzarulo non hanno molto a che fare con la poesia. Eppure nell' "Inno di Mameli" si insinuano tutti gli equivoci che anche la poesia (un valore) attira su di sé, appena esce dal luogo riservato (sacro pomerio per alcune élite, circolo corporativo per altre). Suggerirei di leggere questo scritto con un occhio alla discussione in corso sul post riguardante Gian Pietro Lucini (qui). [E.A.]
Soffermati
sull’arida sponda
A. Manzoni, Marzo
1821
1. -
Nei cinque anni di scuola elementare non ricordo bene se il maestro ci abbia
mai fatto cantare in coro l’inno di Mameli. Ricordo che ci fu proposto in prima
media dalla prof. di musica. Unii la mia voce a quella dei compagni di classe e
la prof., dopo averla ascoltata tre o quattro volte, mi ordinò coram populo di
farla tacere. Era stonata. Ne ricavai una ferita superficiale, della glottide,
un’umiliazione leggera di Narciso, indimenticabile. Ancora oggi, tutte le volte
che provo ad intonare le parole o il ritornello di una canzone, esito. Ho la
voce di uno stonato.
A
diciannove anni, la direttrice di una colonia estiva, in cui lavoravo come
monitore, tentò di convincermi che non esistono voci stonate, tutt’al più
diseducate. Ci provò e mi rinfrancò per un mese, il tempo necessario, a
sorvegliare il gruppo di ragazzi affidatimi e a intonare con loro qualche
marcetta. Fu rimedio temporaneo, cerotto rimovibile.