Questi sono gli appunti della mia lettura di "Parola plurale", uscita nel 2005 da Sossella Editore nel 2005. Una sintesi fu pubblicata nel 2007 su questo blog e si può leggere qui
1. Il titolo.
Questi sono gli appunti della mia lettura di "Parola plurale", uscita nel 2005 da Sossella Editore nel 2005. Una sintesi fu pubblicata nel 2007 su questo blog e si può leggere qui
1. Il titolo.
Questa è la bozza del testo concordato nel 2005 dai promotori dell'inchiesta sulla moltitudine poetante (qui) e poi non più pubblicato per dissensi che portarono allo scioglimento del gruppo. [E. A.]
Tra il 2003 e il 2004 a Milano un gruppo di lavoro composto da Ennio Abate, Paolo Rabissi, Lelio Scanavini, Franco Tagliafierro e Adam Vaccaro preparò questa accurata inchiesta sul "fenomeno della odierna diffusione a livello di massa della scrittura poetica". Ecco premessa e domande.
28 giugno 2002
di Ennio
Abate.
Due frammenti di una discussione del Laboratorio Moltinpoesia. Era stato pubblicato Viaggio alla presenza del tempo di Giancarlo Majorino. Non piacque ad alcuni dei partecipanti al Laboratorio. Ci furono accuse di "gergalità" e di non "comunicabilità". Oltre all'intervista qui sopra riprodotta tentai di sostenere la necessità di una "critica dialogante" con queste due lettere.
Leggo su LE PAROLE E
LE COSE 2 l'articolo POESIA, PRIMA PERSONAPLURALE / 2: CHARLES BERNSTEIN a cura di
Lorenzo Mari e Gianluca Rizzo.
Ho trovato di particolare interesse e in buona sintonia con alcune mie passate riflessioni sui "moltinpoesia" questi passi tratti dai materiali di C.
Bernstein proposti dai due curatori:
1.
«Ciò di cui ci si deve
dispiacere, invece, non è l’assenza di un pubblico di massa per un qualsiasi
poeta, ma piuttosto l’assenza di un pensiero poetico che sia, per tutti, una
potenzialità realizzata».
di Ennio Abate
Quali colombe dal disio chiamate…?
No, come gocce d’ignote bufere
alle vetrate della Casa della Poesia
Giancarlo [1] , premono molti scriventi.
Chi sono? Quanti? Perché così scrivono?
A che mirano? Curarsi di loro
o il brusio di pubblico dal palco reggere
modulandone ossequi e domande?
E chi sono per noi che su riviste
di poesia pubblichiamo i versi
che ci piacciono? Fratelli? Concorrenti?
Compagni di strada? Pedine da manovra?
Possiamo aprirci benevoli ad essi
reggere invidia, angosce, deliri
non sfuggirli, non costruire valli
interiori? E mostrare anche l’errore
dell’energia spostata dal reale
dal vero alienata? E parlare a lungo-
con loro, seguirne lo sciamare
nella notte e poi riprendere a scrivere?
[2006]
Nota
Giancarlo è il poeta Giancarlo Majorino (1928-2021), presidente in quegli anni
della Casa della Poesia con sede nella Palazzina Liberty di Milano, dove,
grazie a lui, tenemmo gli incontri del Laboratorio Moltinpoesia
(2006-2012).
Un amico: - Ma secondo te, cosa intendeva Fortini con l’espressione “la sporca religione dei poeti”?…Tu ricordi in quale pagina di Fortini l’hai letta?…Grazie
A supporto di una riflessione sulla poesia contemporanea ripubblico un mio intervento al Convegno della rivista di Massimo Parizzi, “Qui. Appunti dal presente” – Milano, maggio 2005.
Questo lungo saggio era comparso sul n. 7 inverno 2003/ 2004 della rivista INOLTRE edita dalla Jaca Book. Pur silenziato da poeti e critici allora operanti - quasi tutti hanno preferito poi andare in direzioni opposte all'ipotesi di poesia moltitudinaria e esodante da me proposta alla discussione - lo ripubblico in questo cupo 2023. Come documento di riflessione. Esistono ancora minoranze o singoli che non si sono rassegnati alla cancellazione di ogni dialettica tra poesia e politica. Malgrado la crisi di entrambe. E prima o poi bisognerà pur venir fuori dai pantani dell'iperspecialismo pseudo-accademico o della spettacolarizzazione dell'io liricheggiante in cui in troppi si sono cacciati.
di Ennio Abate
Mi è arrivata oggi da
alcune amiche e amici la notizia della morte improvvisa di Beppe Provenzale, «architetto e
scrittore, critico d'arte e conferenziere. Mai pavone», come leggo dalla sua
pagina su Facebook, ma per me soprattutto animatore vivace del Laboratorio
Moltinpoesia, a cui, malgrado il nostro rapporto sospettoso e a volte
tempestoso (da parte sua e da parte mia), molto però s'era appassionato. (Basta
scrivere il suo cognome in 'cerca' per vedere e rileggere i suoi numerosi
contributi). Poi ci siamo persi di vista. Non so se e come mi avrebbe
ricordato, se fossi morto io prima di lui, ma a me piace ricordarlo così:
Per una storia dei moltinpoesia/Appunti
Riporto dal sito di POLISCRITTURE l'articolo di Donato Salzarulo e i commenti che documentano la riflessione sul perché scriviamo poesie avvenuta tra febbraio e marzo 2009 nel Laboratorio Moltinpoesia di Milano [E. A.]
Riordinadiario 11 dicembre 2021 di Ennio Abate
Commento lasciato a MAPPA IMMAGINARIA DELLA POESIA
ITALIANA CONTEMPORANEA di Laura Pugno su LE PAROLE E LE COSE (qui)
“Quindi in Italia ci sono 100 poeti degni di una antologia?
Già è difficile trovarne 4 o 5.” (Andrea)
Anche la Mappa immaginaria della poesia italiana
contemporanea di Laura Pugno – per carità intelligente, manageriale,
sopportabilmente amicale e inclusiva – ripropone di fatto l’eterno, ideologico,
arbitrario, crociano, liberale, élitario, taglio tra poesia e non poesia. Il
problema non è se i poeti oggi siano 100 o 5. Anche perché non esiste autorità
capace di deciderlo in modi convincenti. Il problema è che nella società
italiana, passata bene o male attraverso una scolarizzazione di massa, anche
l’esercizio della poesia è diventato ambiguamente, nebulosamente, forse
democraticamente, di massa. (Ho parlato e scritto, altrove ma anche qui su
LPLC, dei “moltinpoesia”). E questo fenomeno andrebbe studiato e capito nella
sua complessità. Detto in breve, non mapperemo bene (fingendola “immaginaria”)
la poesia italiana contemporanea senza una mappatura rigorosa anche della sua
(supposta o reale) “periferia” (i “moltinpoesia”). Come non si capisce bene una
città se non si tiene conto dei suoi dintorni, che possono svelare sorprese.
Bisognerebbe, perciò, imparare dagli scienziati che inseguono e si scambiano
tutti i dati disponibili. Invece, per pigrizia, per rendita di posizione
conquistata e gelosamente difesa, si resta a pescare e a pensare soltanto nel
proprio bacino di osservazione più o meno ristretto. E così continuano ad
uscire periodicamente crestomazie, antologie, annuari e quant’altro. Come si
fosse ancora nelle “patrie lettere” ai tempi di Leopardi o negli anni ’50 del
Novecento. Aria alle stanze, signori e signore, per favore!
Appendice
Ennio Abate 18 MAGGIO 2012 ALLE 12:05 (qui )
@ Massimo Gezzi
«considera che ogni recinto ha il suo pastore, ed ha una
guardia forestale che sorveglia i cinghiali, tenendoli lontani; ed anche
considera che il mondo di fuori riserva sorprese» (Commento di Stan su Le
parole e le cose 30 novembre 2011 alle 13:38)
«dentro il recinto ogni scelta conduce all’esaltazione del
recinto medesimo» (Commento di Stan su Le parole e le cose 1 dicembre 2011 alle
17:00)
Salto i preamboli e chiedo:
1. perché una rubrica dedicata soltanto ai poeti nati negli anni Ottanta
rinunciando in partenza a un bel respiro epocale?
2. perché sempre più spesso si vedono in giro “nuovi critici” che i “nuovi
poeti” li cercano (e pare li trovino a credergli) esclusivamente nella loro
generazione o in quella appena precedente o successiva?
3. continuare a proporre soltanto le “perle poetiche” che spuntano nel proprio
“bacino di coltura” può parere amore per un lavoro artigianale ben fatto, ma
non è anche segno di miopia, di pigrizia, di paura?
4. non converrebbe uscire dai recinti, in cui di solito le poesie poste “in
vetrina” dal curatore di turno ricevono commenti di solito piattamente
apologetici e poco argomentati o contestualizzati?
5. non si può coraggiosamente mettere a confronto le “perle” della cerchia A
con quelle della cerchia B o C o D e aguzzare l’acume critico a 360 gradi e non
a dieci o a venti o al massimo a trenta?
In questo articolo del 6 febbraio 2013 mi paiono interessanti due punti:
Celan è un poeta che più di tanti altri ho avvicinato
muovendomi come in un buio e protendendo verso alcune delle sue poesie le mani
(della mente, del cuore) come un cieco che palpa qualcosa di sconosciuto.
L’ultima volta lo feci proprio con questo articolo nel 2016 (http://www.poliscritture.it/2016/11/03/celan-e-la-poesia-in-tempi-di-lotta-politica-bloccata/).
Poi ho sempre letto – in una sorta di apprendistato illimitato e senza scopo
preciso – quel tanto che mi è capitato di trovare in rete su di lui.
Oggi, 6 novembre 2021, mi limito a segnalare un altro testo
critico su Celan di un suo appassionato studioso.
L’ho appena letto su ANTINOMIE:
“Siamo una sola carne con la notte”
LUIGI REITANI
31/10/2021
https://antinomie.it/index.php/2021/10/31/siamo-una-sola-carne-con-la-notte-2/
E cumme faceve a acchiappà/ a pruvà ancore/ chella cosa/ ca isse sule (quanne?)/ aveve ncuminciate a chiamà/ a
salernitudine/?/
e ca sicure/ fine a quanne stette a Salierne/ nunn’a chiamava accussì/
E ca po che ere?/ e a pruvave
sule isse?/ e scumparive appene se guardave attuorne/
E ere na parole?/ Nu sentimente? /Nu state d’animo? /Nu rulore?/ na cose/ ere na cose e
baste/
Ca spuntave in mente certi iuorne/ cumm’a oggi che m’ha
scritte chiste e Salierne/ per farmi sapere ca pure isse ere e chella parrocchia, / se vuleve fa prevete pure isse/ e ha ditte: ‘i piaceri della carne’/ e m’ha fatte quase rire/ ma m’ha ditte/ e nunn’o sapeve/
ca è muorte Giògiò/ ad agosto/
E allora è na cosa ca spunta quenne
se vene a sapé che è muorte quacchune/ ca è muorte pure Giògiò/ e ogni
morte tu o saie/per chi suona la campana/ per te/ e per i tuoi / per tanti
E sta salernitudine ca è penziere e morte e è pensiere e suonno o dormiveglia/ e ca nunn’à niente a
che fa cu chist'ate cu cui se parle e
se scrive mo/ e ca spunte sule quanne scrive a Eggidie/ o penze a Mìneche/ a Nannìne/ e a zia Ludimilla/ che nome!/ e ca nunn’a niente a che fa cu ati discorsi ca fanne G e B e D e F/
E. A. 3 novembre 2021