Pubblico le due parti dell'intervista su "Immigratorio" (Ed. CFR 2011 di Gianmario Lucini) curata da Lorenzo Galbiati e comparse su CARTE SENSIBILI. [E.A.]
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Pubblico le due parti dell'intervista su "Immigratorio" (Ed. CFR 2011 di Gianmario Lucini) curata da Lorenzo Galbiati e comparse su CARTE SENSIBILI. [E.A.]
a cura di Ennio Abate
Gli avvisi degli incontri copiati dal sito della CASA DELLA POESIA DI MILANO (qui) non sono in ordine cronologico. Li pubblico per ricordare i temi trattati e i nomi dei collaboratori del Laboratorio.
"Un
ultimo ragionamento: sui poeti moltitudine o gli scriventi di massa. Il cenno di Giancarlo Majorino al
centinaio di poeti che in attesa di “consacrazione” (48) dovranno essere
antologizzati tradisce, visto da vicino, una presa di posizione
paternalistica e liberale pare una scivolata trascurabile specie in questi
tempi dove contano solo i Personaggi, le Èlites. Da lontano, invece, il
problema appare più importante. All'ombra
di poche fortezze corporative, che amministrano la cosiddetta Qualità Poetica,
sono accampati miriadi di scriventi che sembrano poetare con gli scarti
delle prime. È un brutto segno e si capisce lo sconcerto di un critico come
Romano Luperini quando vede che “oggi si scrivono spesso poesie così come si
cammina sui prati, o come si fa un qualunque lavoro specializzato”[i], o di un poeta-critico come Majorino. Ma perché non si dovrebbe capire anche
lo sconcerto di chi non ha fatto in
tempo ad infilarsi attraverso i ponti levatoi quando erano aperti o li vede
arrogantemente sorvegliati oggi da certi cerberi editoriali venuti fuori anche
dal ‘68?
Questa “proliferazione poetica...
non s'attenuerà” (226), anche perché la verticalizzazione corporativa non s'è
mai attenuata negli ultimi decenni. Ed è tutto il fenomeno della scrittura
di massa che, assieme ad un nuovo
ripensamento della Poesia e della Letteratura di Qualità, andrebbe fatto
coraggiosamente riemergere e non guardato dal buco della serratura di una
disciplina universitaria. Non basta
lucidare alcuni nuovi criteri di critica
dei testi. Non basta l'allargamento della corporazione poetica o una maggiore
inclusione di meritevoli, neppure in antologie spostate fuori
dalla corporazione, come pare prospettare Majorino.
Cosa vuol dire, piuttosto, per questi
poeti-massa spostarsi? Il problema, comunque, Majorino l'ha posto, apparentemente ai margini del suo discorso generale. È
proprio quello: “l'enorme rimanente giace nella penombra”; “e le ombre qui che
fanno? Parlano le ombre? Pensano le ombre? Scrivono le ombre? La massa matassa
dei muti e dei semimuti, dei senza cibo, degli accoltellatori per forza,
quattro quinti del mondo, cosa fanno?” (364).
Le ombre: quelle della
moltitudine poetante, quelle dei semimuti,
etc. C'è qualcuno che saprà interrogarle
e non scegliere solo le "migliori" o le più "presentabili"
in Tv, all'università, nelle case editrici, nelle istituzioni cosiddette civili
ma "nostre"?
di Ennio Abate
Caro S.,
queste tue poesie (ma, a memoria, anche le precedenti che lessi) si distinguono per una freddezza analitica, che a tratti diventa
quasi squisita. Eppure, a volte nei versi, che si allungano verso la prosa e
s’affaticano nelle subordinate, colgo - in contrasto e per voglia di dialogare - un ritmo dolce,
quasi elegiaco o toni più andanti e quasi incespicanti. (Sarà «il musichio di morte feste»?).
di Ennio Abate
Ma basta! Cosa si voleva (o si vuole ancora) che dicesse “di se stesso”? E non l’ha detto? Chi non si è fermato a questo tipo di rimprovero (o ad altri simili e stereotipati) l’ha saputo e l’ha pure scritto: "Sul riserbo di Fortini" di Michele Ranchetti (qui)
di Ennio Abate
Tu, mio strabico amore assaggiato fra tempi di chiesa e di
liceo; e tu, esile simulacro di sesso costruito da perfidi avventori di
latteria; e tu, amore risicato in cuore battente d’impiegata.
Donne, giovanili prede, alle quali i seni belli, amaramente distratto, toccai:
e alle quali impacciato esposi la mia ferita di incerta lussuria, ora che siete
incorporeo fantasma di tiepida vergogna, datemi la chiave di quel mio
comunissimo bisogno di congiungimenti coi corpi vostri smaniati.
Quanto seria fu, con voi, la mia non scafata giovinezza! Quanto freddi
sarebbero ora gli sguardi sulle vostre polpe rugose.
Ah, maschili ardori di un’epoca d’istinti assuefatti al profitto! Da essi
assediato, vi assediai. Sudando e balbettando, che amplessi dolenti, che
confusione nei cuori, che fretta brigante la mia sulla funivia di sentimenti
barcollanti!
Pensarvi oggi è vano? Gli energici corpi di una volta, più che mai curati,
saranno flosci e, come il mio, indeboliti. I ricordi inquietanti sepolti
nell’assillo di più rapidi giorni. Ma sempre vi luciderò, madamine d’oré, con
devoto, assiduo riguardo all’antico fulgore.
(Da Ennio Abate, Donne seni petrosi, Farepoesia 2010)
Carboncino di Tabea Nineo
In margine a un
commento (*) su Facebook
di Ennio
Abate
E una poesia sui 12mila morti a Gaza per mano israeliana (o
soltanto per i 1400 morti israeliani per mano di Hamas) chi la scrive?
E quelli che sgomitano per commentare l'ennesimo
femminicidio quanti commenti hanno fatto dal 7 ottobre ad oggi sul genocidio di
Netanyau a Gaza?
(*) Il commento è questo:
di Ennio Abate
Che
cortocircuiti! Eh, sì. Non afferrava l'importanza
dei Grundrisse ma l’inseguiva. Ed era buona cosa
l’inseguimento, divorati da insana fame di sapere?
30 settembre 2007
Caro Ennio, ho letto con piacere il tuo "Salernitudine". Prediligo questa scrittura asciutta, essenziale, anche aspra, di tono alto, e il tessuto fortemente ellittico dell'opera, che lascia grandi spazi all’immaginazione e all’intelligenza del lettore. Ho trovato salda la struttura, efficace il montaggio, grande l’unità stilistica e identica la tonalità tra la cornice in prosa e le poesie.
Nel lontano 14 maggio 2004, alla libreria Odradek di Milano, ebbi la fortuna di avere Gianni Turchetta come presentatore della mia prima “poeteria” pubblicata: Salernitudine, Ripostes 2003. Da me conservati e oggi gentilmente riletti e appena ritoccati dall’autore, ripropongo i preziosi appunti sugli aspetti linguistici e sui temi di quel libretto che egli sviluppò poi a voce. Rammaricandomi un po’ per non aver registrato la serata. [E. A.]
di Ennio Abate
Alle 22 cominciava il turno di notte
alla Sip. Assonnato
all’Ufficio Telegrammi.
Nessuno chiamava per dettare
quella sera. Nessuno. Così s'applicò, si scervellò
sulle prime pagine dei Grundrisse
appena usciti
e subito comprati. Sottolineava: «Ma l'epoca
che genera questo modo di vedere, il modo di vedere
dell'individuo isolato è proprio l'epoca dei rapporti
sociali […] finora
piu` sviluppati. L'uomo è [...] un animale
sociale […] che
solamente nella società può isolarsi". [1]
Chiarirsi il concetto di "astrazione determinata".
Cogliere ciò che è
unitario nei fenomeni che appaiono
disparati e diversi,
parafrasò. Batté appunti sul modulo
per telegrammi – oh, pesante e
rumorosa macchina
d’ufficio! – E poi alle 8 del mattino, fine turno,
via dal
palazzone della SIP in Piazza Affari fino
al palo davanti alla Statale. Bloccò con la catena.
Una lezione di filosofia morale di Remo Cantoni.
Ricordi precisi, non più.
Né delle belle st,udentesse
né dei ben vestiti studenti borghesi che nell'atrio, dove
per cortocircuiti culturali e sbalzi sui gradoni sociali
frullavano insieme conversazioni e mossette indolenti.
Nota
1. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858 (Grundrisse), La Nuova Italia, 1971/74, pag. 5.
di Ennio Abate
Nello
spazio mentale - come tanti - leggeva, scriveva.
Pensava per
iscritto. Non pagato. Perplesso. Che ne aveva
da censurarsi e dubitare. E molto. E troppo. E si sa.
di Ennio Abate
- In politica comunque c'eri
anche se ti dibattevi tra brutti fantasmi…
C'ero come in ipnosi.
M'avranno visto altri fare cose.
In morte di Anna Cascella Luciani
di Ennio Abate
Apprendo solo oggi della morte di Anna Cascella Luciani. Ci eravamo sfiorati nel 1991 al tempo del premio Laura Nobile a Siena, rincontrati attorno al 2011 grazie a comuni amici romani e iniziato – con Poliscritture
allora cartaceo - un rapporto di amichevole e intensa collaborazione. Poi scintille,
attriti, la rottura.[1]
E il silenzio tra noi. L’ho seguita (o spiata come da dietro una tenda?) di tanto in tanto sul palcoscenico della sua
pagina FB.[2] Ora scelgo
di ricordarla con questo nostro scambio
di mail del 2015. C’è lei, ci sono io. E a me basta. Ciao Anna. [E. A.]
di Ennio Abate
25 aprile 2004
Caro X,
eccoti le informazioni che mi hai chiesto:
1. Prima di Salernitudine (Ripostes 2003), oltre a un
po' di poesie sparse in riviste, avevo pubblicato nel 1982
-stampandolo in una tipografia di amici: Edizioni CELES di Cologno Monzese
- solo un altro libretto, Samizdat Colognom (titolo
passato poi alla rivistina fotocopiata e omonima diffusa a mano tra
amici: 7 numeri tra 1999 e 2004). Poi, finalista al LAURA NOBILE del
1991, uscì presso Scheiwiller nel 1992 il volumetto 5 POETI
DEL PREMIO "LAURA NOBILE" 1991 con una selezione delle
poesie da me presentate in quell'occasione.
Gli avevo dato il titolo Salernitudine/Immigratorio/Samizdat. Per
il resto non mi sono mai dato da fare per pubblicare. Perché? Dovrei fare
- ma lo evito adesso - un lungo discorso, dove entrerebbero in gioco:
l'interruzione degli studi universitari cominciai a Napoli; il mio
trasferimento a Milano; le peripezie fra lavoro per sostenere me e la famiglia
che mi ero fatta e ripresa degli studi (abilitazione di disegno poi non
utilizzata e laurea in lettere, che poi mi ha fatto imboccare la via
dell'insegnamento); la militanza politica dal 1968 al 1976 in
Avanguardia Operaia che ebbe la precedenza sulla mia ricerca artistica
e letteraria continuata sempre in solitaria; il breve ma diretto rapporto
con Fortini (vecchio); un tentativo infelice di pubblicare una
raccolta più ampia e meditata delle mie "poeterie" da Manni.
«L’artista
non è semplicemente colui che ascolta sé come sorgente di verità… Abbiamo
bisogno di specialisti della letteratura e del mondo; così come abbiamo bisogno di poeti della
poesia e del mondo».
(Giancarlo Majorino (Atti del convegno di Letture, 1997)
1. Parto da una premessa che dovrebbe chiarire subito il senso di quanto dirò. È stato detto: «Per quanto male si possa dire del genere antologico… non se ne può fare a meno» (Parola plurale, pag. 10) E, in effetti, di antologie della poesia contemporanea se ne fanno e se ne faranno ancora. Ma è difficile occultare che la forma-antologia sia in crisi. E aggiungo: come la forma partito.
Che rimozione! Il '68
ridotto a "Reich, Marcuse, il Living Theatre, la Beat generation " (
e senza il '69). La storia ridimensionata a "ancella della poesia"; e, tra l'altro, se condivide la definizione riportata di Boine ("un
barile di merda che il diavolo rotola per la china della morte”), possibile che
la puzza non arrivi alla Signora Poesia? La tradizione che, invece di essere
esplorata, criticata, scelta per le cose da salvare, viene occultata dal velo
del Sacro ("La tradizione è un concetto sacro").
di Ennio Abate
Ahi, noi! I finti vivi
respiranti sazi e distratti
intenti alle proprie
- intere (crediamo) -
assorbenti storie!
E 1958 - Ecco i versi di allora:
«dentro
la tana delle
lucertole
nei
rigagnoli
nei gusci
di noci
sotto le
foglie
in mezzo
ai nidi
abbandonati
un
silenzio c’era
e luce e
calore
che neppure
supponevo»
E 2017 - Vengono da ricordi delle tue esplorazioni di ragazzo in campagna?
a Luigi Manzi
in ricordo e in omaggio
Riporto
dalla pagina Facebook di Matteo Marchesini questo stralcio di un articolo del 1999 di
Alfonso Berardinelli:
di Ennio Abate
”Sui confini della poesia” (1978) si legge in “Nuovi saggi italiani 2” alle
pagg. 313-327 del volume della Garzanti pubblicato nel 1987. Si tratta di una
lezione che Fortini tenne presso l’università del Sussex nel maggio 1978. Il
testo non è di agevole lettura forse perché rivolto a un pubblico di
studiosi. Negli anni passati l'ho letto più volte avendo in mente la questione
dei moltinpoesia, di cui mi
occupai soprattutto ai tempi del Laboratorio Moltinpoesia di Milano
(2006-2013). E su di esso ho già scritto su Poliscritture nel 2020 (qui).
Da lì ricavo oggi
questa sintesi. I numeri tra parentesi rimandano alle pagine del
libro di Fortini. [E. A.]
di Ennio Abate
Sono curioso di sapere
che diranno di Fortini e di Majorino soprattutto. Per il momento mi rileggo
quanto scrissi il 3 febbraio 2011 sulla loro "poesia critica" in un
articolo intitolato "Da quali nemici e falsi amici si devono guardare
i poeti (esodanti) [ Seconda puntata] su questo stesso blog (qui il testo completo):
Un equivoco forse resta nell’uso (utopistico?) che ho fatto finora del
termine «moltitudine poetante». Credo mi abbia suggestionato l’idea, afferrata di corsa (da Eluard, ad
esempio), che in questo scritto Fortini attribuiva ai surrealisti, profeti per lui dell’«avvento di una umanità
in cui non si sarebbero stati più poeti perché tutti lo sarebbero stati, perché ogni comunicazione sarebbe stata automatica, assolutamente spontanea e immediata in un mondo di liberi» (pag. 1275).
Ma davvero, a distanza di tanto tempo dai surrealisti, condividendo la loro tensione, ho dato ad intendere che "essere molti in poesia" significhi "tutti (facilmente o già) poeti"?
Non mi pare. Mi è chiaro infatti che i molti in poesia, di cui oggi parlo, sono un segno della crisi della poesia (o di una nuova crisi della poesia) più che il segno di una sua diffusione vitale e prorompente. E che bisogna proprio partire dalla crisi della poesia invece di parlare genericamente solo di "cattivi poeti" odierni, come se la poesia godesse ottima salute.
Sì, la «verità della poesia» avrà a che vedere con duplicità o doppiezza ma non può consistere in duplicità e doppiezza. Sarebbe una replica dell’esistente. Meglio il vecchio Brecht: https://moltinpoesia.blogspot.com/2012/11/ennio-abate-sulle-cinque-difficolta-per.html