di Ennio Abate
Ecco quattro tracce del passaggio dal discorso sugli scriventi di massa a quello della moltitudine poetante, poi moltinpoesia:
12 ottobre 2001/ gennaio 2002
Da Ennio Abate, La poesia da lontano. Qualche ragionamento su Poesie e realtà
1945 - 2000 di Giancarlo Majorino in Esercizi critici. Letteratura e altro, gennaio 2002
"Un
ultimo ragionamento: sui poeti moltitudine o gli scriventi di massa. Il cenno di Giancarlo Majorino al
centinaio di poeti che in attesa di “consacrazione” (48) dovranno essere
antologizzati tradisce, visto da vicino, una presa di posizione
paternalistica e liberale pare una scivolata trascurabile specie in questi
tempi dove contano solo i Personaggi, le Èlites. Da lontano, invece, il
problema appare più importante. All'ombra
di poche fortezze corporative, che amministrano la cosiddetta Qualità Poetica,
sono accampati miriadi di scriventi che sembrano poetare con gli scarti
delle prime. È un brutto segno e si capisce lo sconcerto di un critico come
Romano Luperini quando vede che “oggi si scrivono spesso poesie così come si
cammina sui prati, o come si fa un qualunque lavoro specializzato”[i], o di un poeta-critico come Majorino. Ma perché non si dovrebbe capire anche
lo sconcerto di chi non ha fatto in
tempo ad infilarsi attraverso i ponti levatoi quando erano aperti o li vede
arrogantemente sorvegliati oggi da certi cerberi editoriali venuti fuori anche
dal ‘68?
Questa “proliferazione poetica...
non s'attenuerà” (226), anche perché la verticalizzazione corporativa non s'è
mai attenuata negli ultimi decenni. Ed è tutto il fenomeno della scrittura
di massa che, assieme ad un nuovo
ripensamento della Poesia e della Letteratura di Qualità, andrebbe fatto
coraggiosamente riemergere e non guardato dal buco della serratura di una
disciplina universitaria. Non basta
lucidare alcuni nuovi criteri di critica
dei testi. Non basta l'allargamento della corporazione poetica o una maggiore
inclusione di meritevoli, neppure in antologie spostate fuori
dalla corporazione, come pare prospettare Majorino.
Cosa vuol dire, piuttosto, per questi
poeti-massa spostarsi? Il problema, comunque, Majorino l'ha posto, apparentemente ai margini del suo discorso generale. È
proprio quello: “l'enorme rimanente giace nella penombra”; “e le ombre qui che
fanno? Parlano le ombre? Pensano le ombre? Scrivono le ombre? La massa matassa
dei muti e dei semimuti, dei senza cibo, degli accoltellatori per forza,
quattro quinti del mondo, cosa fanno?” (364).
Le ombre: quelle della
moltitudine poetante, quelle dei semimuti,
etc. C'è qualcuno che saprà interrogarle
e non scegliere solo le "migliori" o le più "presentabili"
in Tv, all'università, nelle case editrici, nelle istituzioni cosiddette civili
ma "nostre"?
Sì, la «verità della poesia» avrà a che vedere con duplicità o doppiezza ma non può consistere in duplicità e doppiezza. Sarebbe una replica dell’esistente. Meglio il vecchio Brecht: https://moltinpoesia.blogspot.com/2012/11/ennio-abate-sulle-cinque-difficolta-per.html