Secol
superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto
pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i
passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
Giacomo Leopardi, LA GINESTRA, O FIORE DEL DESERTO
Secol
superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto
pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i
passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
di Ennio Abate
Sempre nella logica del Riordinadario, e cioè della ricostruzione del mio percorso (in questo caso in poesia), ripubblico l'editoriale da me scritto nel 2005 per il numero 4 della rivista Il Monte Analogo. Lascio ad eventuali lettori - vecchi o giovani ancora interessati al lavoro poetico - il compito di stabilire il valore del metodo critico da me allora seguito e le analogie o differenze con il dibattito sulla poesia oggi in corso nelle varie "bolle" accademiche o sui social.
di Ennio
Abate
Trasite, trasite, bell’i figliole
anche
si fore schiocca o sole.
Ca rint’, all’ombre ve sta a ‘spittà
nu prevete
scure pe ve cunfessà.
Isse sule sape cumme se fa
ognie
angustie voste a cunsulà.
Vuie mididate e tremanne priate
cumm’a cannele appen’
appicciate
e roppe, mente liénte va ron Vicienze
l’aneme voste è
cumme o‘ncienze
ca saglie ‘nciele; e nun dat’e aurienze
a chi male ve vò
e male e vui penze.
Ccà simme a creme e na cumunità
e chi scioscia viente nun
ve po’ stutà.
Entrate, entrate, belle ragazze/ anche se fuori splende il
sole. // Ché, dentro, nell’ombra vi attende/ un prete scuro per
confessarvi.// Lui soltanto sa come si fa/ a consolare ogni
vostra pena. // Voi meditate e, tremando, pregate/ come [foste]
candele appena accese. // E dopo, mentre lento va via don
Vincenzo/ l’anima vostra è come incenso // che sale in cielo: e
non date ascolto / a chi vi vuol male e di voi pensa male.
// Qua siamo la crema [il meglio] della comunità / e chi soffia
vento non vi può spegnere.
(1975/2024)
di Ennio Abate
Allora dimenticai l’insopportabile sprezzo dell’Intelletto saccente verso gli uomini di buone volontà, il delirio dell’Io che si gonfia calpestando l’ingegno umile dei molti. Brevi comete a me ostili! Dai loro Lassù sbuffavano eoli beffardi e poi sfolgoravano altrove, lontane. Lascio che si cullino nell’Eternità dei Papaveri. Torno a sentire le nenie stampate nel Sud della mia mente. E riparo le bussole che, passando tremende, hanno scassato.
di Ennio Abate
Trasite, trasite, bell’i figliole
anche
si fore schiocca o
sole.
Ca
rint’, all’ombre
ve sta a ‘spittà
nu prevete scure pe ve cunfessà.
Isse
sule sape cumme se fa
ognie angustie voste
a cunsulà.
Vuie mididate e
tremanne priate
cumm’a cannele
appen’ appicciate
e roppe, mente
liénte va ron Vicienze
l’aneme voste è cumme o‘ncienze
ca saglie ‘nciele; e nun dat’e aurienze
a chi male ve vò e male e vui penze.
Ccà simme a creme
e na cumunità
e chi scioscia
viente nun ve po’ stutà.
Entrate,
entrate, belle ragazze/ anche se fuori splende il sole. // Ché,
dentro, nell’ombra vi attende/ un prete scuro per confessarvi.//
Lui
soltanto sa come si fa/ a consolare ogni vostra pena. // Voi meditate
e, tremando, pregate/ come [foste] candele appena accese. // E dopo,
mentre lento va via don
Vincenzo/ l’anima vostra è come incenso // che sale in cielo: e non
date ascolto /
a chi vi vuol male e di voi pensa male. // Qua siamo la crema [il
meglio] della comunità / e chi soffia vento non vi può spegnere.
(1975/2024)
di Ennio Abate
quella
torsione violenta
del
bulbo oculare e dell’intera testa
come
in una marionetta!
fu
il padre-prete
a
condurre il suo sguardo
all'occhio tremendo di Dio
nel triangolo della
stampa appesa al muro
nella
stanza
così fu interrotta la visione
del
seno materno
e
il bimbo diventò uno strabico spione
che guardava
di soppiatto e di traverso
il
corpo desiderato
e se lo fingeva altrove
lontano
sull’orizzonte del mare
invadeva la finestra assolata
l'esperienza recisa l'inseguì
nelle
scaglie di pesce morto
o - più tardi - sul foglio bianco
(16 ottobre 1989)
di Ennio Abate
OCCHETTO: "SIAMO UNA FORZA SOCIALISTA"
e sei servito/
nell'isolamento/
assieme a vecchi elefanti moribondi/
notte nera/ buio nel cuore/
coi morti /
e non c'è
più tempo d'imparare/
quello che sai/ ti resta
i giovani
compagni/
presto saranno/
soltanto amici irriverenti/ e
distanti/
nel discorso che scrivi e rileggi/
conteranno i
vuoti/ i silenzi/
da cui ripartiranno loro/
per dove, non
sai più/
di Ennio Abate
nel dionisiaco giovanile penetrassi/ coi corpi/ mente loro! proverei l’immaginato sempre/ e sfuggente piacere di abitare paroloni godendo il mio corpo in ebollizione/ a contatto con l’altrui/ ma “nostro”
e i tormenti giovanil distruttivi/
ma l’io pio in corpo-adulta-mente sta/
e nella gabbia toracica della realtà
il mondo m’inspira e respira
mi nutre e denutre
si fa turgido e s’ammoscia...
ma il tarlo si sfrega nel solaio silenzioso e ombrato
del mio desiderio di “occupare” l’altro/
gli altri/ le altre
l’esodo giovanile salta il deserto da attraversare/
non vede/ e occupa il vuoto/
dove il mondo non respira più/
dove la farfalla si dissecca
il corpo è senza corpi/parole
senza chiacchiere e ideologie
sì, che soddisfazione!)
e muore
(lenta-dolce-improvvisa-terribil-mente)
di Alessandra Pavani
Cròtalo nudo dai nervi scoperti
Cranio cui manca il soffitto
Il mio cervello è impregnato di pioggia
Sfiorami, ed io griderò di dolore
Senza corteccia anche un olmo è sconfitto
Da un solo palpito d'ali frementi
Il mio destino in qual eremo alloggia?
Forse in un cielo incolore
Di sabbie mobili
Donde anche il sole si tiene lontano
Ché morirei se un suo stral mi colpisse
Grigio deserto
Là dove rettili giacciono inerti
Senza calore e senza conforto
Urlano muti dentro un pantano
Pianto malsano
Di lacrime immobili
Come un rigurgito di stelle fisse.
(dalla pagina FB La
falena Vassilissa)
Luna
Luna ogni
notte versi lacrime di rugiada,
gaia sorride
al nuovo sole.
Luna muori
per il tuo Sole
nel tuo morir
anch’io muoio.
Come è dolce
la tua rugiada
sulle mie
labbra.
DOPO IL TERREMOTO *
Tutto adesso
tace.
Copriamo le
terre bianche
di segni
faticosi.
Resta il rumore
amico
delle faccende
domestiche.
Con mani
innamorate
costruiamo
ciechi
ascensori per il cielo.
[*1980, in Irpinia]
AL CENTRO DI SOCCORSO (Nocera Inferiore)
Aspetto
l'arrivo del taxi
per donare il
sangue -
va dicendo una
ragazza.
Sorride con
eccessiva letizia
giù ai campi di
tennis.
Al centro
soccorso
una signora, il
collo avvolto
in una sciarpa
bianca
raccoglie
serena
l'angoscia
della gente.
7 dicembre 1980
Pioggia. Ora 8,15. Si rompe il tergicristallo anteriore,
quello davanti al guidatore. Siamo bloccati. G. incaponito. Vuole attendere che
apra il meccanico dell'area di servizio, che però tarda ad arrivare. D. riesce a ripararlo proprio mentre il meccanico sta arrivando.
Nocera Inferiore. Arriviamo alle 13,30. Primo impatto con il disastro. Il furgone gira attorno ad un palazzo pericolante. Crepe e fessure ai primi piani. A terra mattoni, calcinacci. Negli appartamenti scoperchiati notiamo mobili. Andiamo nella casa della famiglia di P. un nostro collega ITP. Ci accolgono con calore. Saliamo le rampe della scalinata di una palazzina popolare che ha resistito al sisma. Ci preparano un caffè. P. è arrivato da Milano prima di noi, il giorno successivo al terremoto. Ci dice che ha trovato gente che piangeva e si aggirava impaurita per le strade. Suo fratello più giovane è ancora terrorizzato. Era per strada con la fidanzata e ha visto i palazzi oscillare e gli alberi piegarsi. La disorganizzazione degli aiuti è enorme. Il sindaco democristiano si è dimesso subito e non ha nemmeno comunicato a Roma che la città di Nocera era stata colpita in modo gravissimo. L'80% degli stabili sono pericolanti. Molti edifici non sono del tutto crollati e paiono illesi, ma le murature sono gonfie in basso e lesionate all'interno. La distribuzione degli aiuti è sotto il controllo di mafiosi e boss locali. Vogliono evitare ogni ostacolo ai piani che gli speculatori hanno già preparato. La gente si sta armando perché girano sciacalli. Qualcuno si è fatto consegnare con la forza i pochi averi recuperati e conservati sotto le tende o le baracche. Fa molto freddo. E forse le stufe elettriche che abbiamo portato serviranno ben poco. Dopo un giro per il quartiere – un latte tiepido in un povero bar, l'annuncio funebre per un uomo morto d'infarto durante la seconda scossa, un lampione crollato a terra - mi faccio accompagnare in auto dai miei parenti a Baronissi. Durante il viaggio ogni tanto qualche traccia del terremoto: alcuni giovani portano fuori da uno stabile dei lampadari di cristallo; una chiesetta rovinata. Poca gente in giro.
Pubblico le due parti dell'intervista su "Immigratorio" (Ed. CFR 2011 di Gianmario Lucini) curata da Lorenzo Galbiati e comparse su CARTE SENSIBILI. [E.A.]
a cura di Ennio Abate
Gli avvisi degli incontri copiati dal sito della CASA DELLA POESIA DI MILANO (qui) non sono in ordine cronologico. Li pubblico per ricordare i temi trattati e i nomi dei collaboratori del Laboratorio.
"Un
ultimo ragionamento: sui poeti moltitudine o gli scriventi di massa. Il cenno di Giancarlo Majorino al
centinaio di poeti che in attesa di “consacrazione” (48) dovranno essere
antologizzati tradisce, visto da vicino, una presa di posizione
paternalistica e liberale pare una scivolata trascurabile specie in questi
tempi dove contano solo i Personaggi, le Èlites. Da lontano, invece, il
problema appare più importante. All'ombra
di poche fortezze corporative, che amministrano la cosiddetta Qualità Poetica,
sono accampati miriadi di scriventi che sembrano poetare con gli scarti
delle prime. È un brutto segno e si capisce lo sconcerto di un critico come
Romano Luperini quando vede che “oggi si scrivono spesso poesie così come si
cammina sui prati, o come si fa un qualunque lavoro specializzato”[i], o di un poeta-critico come Majorino. Ma perché non si dovrebbe capire anche
lo sconcerto di chi non ha fatto in
tempo ad infilarsi attraverso i ponti levatoi quando erano aperti o li vede
arrogantemente sorvegliati oggi da certi cerberi editoriali venuti fuori anche
dal ‘68?
Questa “proliferazione poetica...
non s'attenuerà” (226), anche perché la verticalizzazione corporativa non s'è
mai attenuata negli ultimi decenni. Ed è tutto il fenomeno della scrittura
di massa che, assieme ad un nuovo
ripensamento della Poesia e della Letteratura di Qualità, andrebbe fatto
coraggiosamente riemergere e non guardato dal buco della serratura di una
disciplina universitaria. Non basta
lucidare alcuni nuovi criteri di critica
dei testi. Non basta l'allargamento della corporazione poetica o una maggiore
inclusione di meritevoli, neppure in antologie spostate fuori
dalla corporazione, come pare prospettare Majorino.
Cosa vuol dire, piuttosto, per questi
poeti-massa spostarsi? Il problema, comunque, Majorino l'ha posto, apparentemente ai margini del suo discorso generale. È
proprio quello: “l'enorme rimanente giace nella penombra”; “e le ombre qui che
fanno? Parlano le ombre? Pensano le ombre? Scrivono le ombre? La massa matassa
dei muti e dei semimuti, dei senza cibo, degli accoltellatori per forza,
quattro quinti del mondo, cosa fanno?” (364).
Le ombre: quelle della
moltitudine poetante, quelle dei semimuti,
etc. C'è qualcuno che saprà interrogarle
e non scegliere solo le "migliori" o le più "presentabili"
in Tv, all'università, nelle case editrici, nelle istituzioni cosiddette civili
ma "nostre"?
di Ennio Abate
Caro S.,
queste tue poesie (ma, a memoria, anche le precedenti che lessi) si distinguono per una freddezza analitica, che a tratti diventa
quasi squisita. Eppure, a volte nei versi, che si allungano verso la prosa e
s’affaticano nelle subordinate, colgo - in contrasto e per voglia di dialogare - un ritmo dolce,
quasi elegiaco o toni più andanti e quasi incespicanti. (Sarà «il musichio di morte feste»?).
di Ennio Abate
Ma basta! Cosa si voleva (o si vuole ancora) che dicesse “di se stesso”? E non l’ha detto? Chi non si è fermato a questo tipo di rimprovero (o ad altri simili e stereotipati) l’ha saputo e l’ha pure scritto: "Sul riserbo di Fortini" di Michele Ranchetti (qui)
di Ennio Abate
Tu, mio strabico amore assaggiato fra tempi di chiesa e di
liceo; e tu, esile simulacro di sesso costruito da perfidi avventori di
latteria; e tu, amore risicato in cuore battente d’impiegata.
Donne, giovanili prede, alle quali i seni belli, amaramente distratto, toccai:
e alle quali impacciato esposi la mia ferita di incerta lussuria, ora che siete
incorporeo fantasma di tiepida vergogna, datemi la chiave di quel mio
comunissimo bisogno di congiungimenti coi corpi vostri smaniati.
Quanto seria fu, con voi, la mia non scafata giovinezza! Quanto freddi
sarebbero ora gli sguardi sulle vostre polpe rugose.
Ah, maschili ardori di un’epoca d’istinti assuefatti al profitto! Da essi
assediato, vi assediai. Sudando e balbettando, che amplessi dolenti, che
confusione nei cuori, che fretta brigante la mia sulla funivia di sentimenti
barcollanti!
Pensarvi oggi è vano? Gli energici corpi di una volta, più che mai curati,
saranno flosci e, come il mio, indeboliti. I ricordi inquietanti sepolti
nell’assillo di più rapidi giorni. Ma sempre vi luciderò, madamine d’oré, con
devoto, assiduo riguardo all’antico fulgore.
(Da Ennio Abate, Donne seni petrosi, Farepoesia 2010)
Carboncino di Tabea Nineo
In margine a un
commento (*) su Facebook
di Ennio
Abate
E una poesia sui 12mila morti a Gaza per mano israeliana (o
soltanto per i 1400 morti israeliani per mano di Hamas) chi la scrive?
E quelli che sgomitano per commentare l'ennesimo
femminicidio quanti commenti hanno fatto dal 7 ottobre ad oggi sul genocidio di
Netanyau a Gaza?
(*) Il commento è questo:
di Ennio Abate
Che
cortocircuiti! Eh, sì. Non afferrava l'importanza
dei Grundrisse ma l’inseguiva. Ed era buona cosa
l’inseguimento, divorati da insana fame di sapere?
30 settembre 2007
Caro Ennio, ho letto con piacere il tuo "Salernitudine". Prediligo questa scrittura asciutta, essenziale, anche aspra, di tono alto, e il tessuto fortemente ellittico dell'opera, che lascia grandi spazi all’immaginazione e all’intelligenza del lettore. Ho trovato salda la struttura, efficace il montaggio, grande l’unità stilistica e identica la tonalità tra la cornice in prosa e le poesie.
Nel lontano 14 maggio 2004, alla libreria Odradek di Milano, ebbi la fortuna di avere Gianni Turchetta come presentatore della mia prima “poeteria” pubblicata: Salernitudine, Ripostes 2003. Da me conservati e oggi gentilmente riletti e appena ritoccati dall’autore, ripropongo i preziosi appunti sugli aspetti linguistici e sui temi di quel libretto che egli sviluppò poi a voce. Rammaricandomi un po’ per non aver registrato la serata. [E. A.]
di Ennio Abate
Alle 22 cominciava il turno di notte
alla Sip. Assonnato
all’Ufficio Telegrammi.
Nessuno chiamava per dettare
quella sera. Nessuno. Così s'applicò, si scervellò
sulle prime pagine dei Grundrisse
appena usciti
e subito comprati. Sottolineava: «Ma l'epoca
che genera questo modo di vedere, il modo di vedere
dell'individuo isolato è proprio l'epoca dei rapporti
sociali […] finora
piu` sviluppati. L'uomo è [...] un animale
sociale […] che
solamente nella società può isolarsi". [1]
Chiarirsi il concetto di "astrazione determinata".
Cogliere ciò che è
unitario nei fenomeni che appaiono
disparati e diversi,
parafrasò. Batté appunti sul modulo
per telegrammi – oh, pesante e
rumorosa macchina
d’ufficio! – E poi alle 8 del mattino, fine turno,
via dal
palazzone della SIP in Piazza Affari fino
al palo davanti alla Statale. Bloccò con la catena.
Una lezione di filosofia morale di Remo Cantoni.
Ricordi precisi, non più.
Né delle belle st,udentesse
né dei ben vestiti studenti borghesi che nell'atrio, dove
per cortocircuiti culturali e sbalzi sui gradoni sociali
frullavano insieme conversazioni e mossette indolenti.
Nota
1. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858 (Grundrisse), La Nuova Italia, 1971/74, pag. 5.
di Ennio Abate
Nello
spazio mentale - come tanti - leggeva, scriveva.
Pensava per
iscritto. Non pagato. Perplesso. Che ne aveva
da censurarsi e dubitare. E molto. E troppo. E si sa.
di Ennio Abate
- In politica comunque c'eri
anche se ti dibattevi tra brutti fantasmi…
C'ero come in ipnosi.
M'avranno visto altri fare cose.
In morte di Anna Cascella Luciani
di Ennio Abate
Apprendo solo oggi della morte di Anna Cascella Luciani. Ci eravamo sfiorati nel 1991 al tempo del premio Laura Nobile a Siena, rincontrati attorno al 2011 grazie a comuni amici romani e iniziato – con Poliscritture
allora cartaceo - un rapporto di amichevole e intensa collaborazione. Poi scintille,
attriti, la rottura.[1]
E il silenzio tra noi. L’ho seguita (o spiata come da dietro una tenda?) di tanto in tanto sul palcoscenico della sua
pagina FB.[2] Ora scelgo
di ricordarla con questo nostro scambio
di mail del 2015. C’è lei, ci sono io. E a me basta. Ciao Anna. [E. A.]
di Ennio Abate
25 aprile 2004
Caro X,
eccoti le informazioni che mi hai chiesto:
1. Prima di Salernitudine (Ripostes 2003), oltre a un
po' di poesie sparse in riviste, avevo pubblicato nel 1982
-stampandolo in una tipografia di amici: Edizioni CELES di Cologno Monzese
- solo un altro libretto, Samizdat Colognom (titolo
passato poi alla rivistina fotocopiata e omonima diffusa a mano tra
amici: 7 numeri tra 1999 e 2004). Poi, finalista al LAURA NOBILE del
1991, uscì presso Scheiwiller nel 1992 il volumetto 5 POETI
DEL PREMIO "LAURA NOBILE" 1991 con una selezione delle
poesie da me presentate in quell'occasione.
Gli avevo dato il titolo Salernitudine/Immigratorio/Samizdat. Per
il resto non mi sono mai dato da fare per pubblicare. Perché? Dovrei fare
- ma lo evito adesso - un lungo discorso, dove entrerebbero in gioco:
l'interruzione degli studi universitari cominciai a Napoli; il mio
trasferimento a Milano; le peripezie fra lavoro per sostenere me e la famiglia
che mi ero fatta e ripresa degli studi (abilitazione di disegno poi non
utilizzata e laurea in lettere, che poi mi ha fatto imboccare la via
dell'insegnamento); la militanza politica dal 1968 al 1976 in
Avanguardia Operaia che ebbe la precedenza sulla mia ricerca artistica
e letteraria continuata sempre in solitaria; il breve ma diretto rapporto
con Fortini (vecchio); un tentativo infelice di pubblicare una
raccolta più ampia e meditata delle mie "poeterie" da Manni.
«L’artista
non è semplicemente colui che ascolta sé come sorgente di verità… Abbiamo
bisogno di specialisti della letteratura e del mondo; così come abbiamo bisogno di poeti della
poesia e del mondo».
(Giancarlo Majorino (Atti del convegno di Letture, 1997)
1. Parto da una premessa che dovrebbe chiarire subito il senso di quanto dirò. È stato detto: «Per quanto male si possa dire del genere antologico… non se ne può fare a meno» (Parola plurale, pag. 10) E, in effetti, di antologie della poesia contemporanea se ne fanno e se ne faranno ancora. Ma è difficile occultare che la forma-antologia sia in crisi. E aggiungo: come la forma partito.
Sì, la «verità della poesia» avrà a che vedere con duplicità o doppiezza ma non può consistere in duplicità e doppiezza. Sarebbe una replica dell’esistente. Meglio il vecchio Brecht: https://moltinpoesia.blogspot.com/2012/11/ennio-abate-sulle-cinque-difficolta-per.html